Alessandro Andreatta

Alessandro  Andreatta

Il carisma di Chiara


In quest'epoca veloce, in cui tutto passa velocemente, in cui il passo tra la fama e l'oblio è brevissimo, il messaggio, l'eredità, il carisma di Chiara Lubich resistono e continuano ad ispirare non solo il suo movimento ma anche molte persone nei cinque continenti. Il motivo del permanere del suo messaggio credo sia da attribuire alla sua attualità: del resto il pensiero che sa andare alla radice delle cose, che tocca il cuore delle grandi questioni – questioni esistenziali, politiche, relazionali – può essere dimenticato per qualche tempo ma non perde mai il suo valore profetico ed epifanico, la sua capacità di far riflettere e di illuminare il mondo.
Pensiamo solo all'ideale che ha ispirato tutta l'azione di Chiara: l'ideale dell'unità. Non che Chiara non vedesse le differenze, tutt'altro: non le negava affatto, le riconosceva anzi, ma sapeva guardare al di là. Potremmo dire che davanti a una tavolozza di colori, mentre noi ci fissiamo sulla differenza tra giallo e rosso, lei vedeva solo la luce, che poi è all'origine delle differenze cromatiche.
Oggi, in politica ma anche in economia o nella cultura, sono tornati di moda il particolarismo e la stigmatizzazione delle differenze. Si costruiscono muri tra le nazioni e all'interno delle città per separare il simile dal presunto dissimile, per la paura dell'incontro tra il bianco e il nero, tra il Nord e il Sud, tra l'Oriente e l'Occidente. La parola di Chiara Lubich dunque è di nuovo controcorrente, come lo era all'indomani della seconda guerra mondiale, tra le macerie di un'Europa divisa, fatta di nazioni di ex nemici a cui la giovane donna trentina chiedeva di deporre le armi e di sposare la causa del dialogo. Ma del resto Chiara Lubich non ci parla e non ci ha mai parlato per darci ragione, per compiacerci. Come ha affermato proprio a Trento Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, “con il sogno di Chiara bisogna tornare a inquietare l’Europa, perché non si può più vivere per sé stessi. Fino al ’45 vivere per sé stessi voleva dire ammazzarsi in guerre fratricide. Oggi vivere per sé stessi vuol dire accontentarsi di una cultura di senescenza, di una ricchezza confortata ma anche sprofondare nell’impotenza di fronte alle grandi sfide del mondo”.
Credo che sia questo lo spirito con cui oggi dobbiamo raccogliere il messaggio e la testimonianza di Chiara. Tradiremmo le sue consegne, la sua eredità se oggi fossimo qui per fare di Chiara Lubich un monumento, se la consegnassimo alla storia per non sentirla più parlare nella nostra cronaca di tutti i giorni, più che mai bisognosa di dialogo e fraternità.

Alessandro Andreatta
Sindaco di Trento