Maurizio Gentilini, primo biografo trentino: “Appassionata ricercatrice della verità”

Vita Trentina

Gentilini, a chi ha pensato scrivendo questa biografia che l’editrice Città Nuova tradurrà in almeno cinque lingue. Ai focolarini e simpatizzanti sparsi in 190 paesi del mondo oppure ai conterranei trentini?

Ho pensato essenzialmente ad organizzare una narrazione che fosse in grado di descrivere e rendere comprensibile – ai “vicini” e ai “lontani”, e tra questi ultimi mi metto anche io … - la vicenda umana e spirituale di un personaggio contraddistinto da forte personalità, originalità di pensiero e complessità di azione negli svariati contesti in cui si trovò ad agire nel corso della sua lunga vita. Uno sforzo di sintesi, che però non rinuncia a identificare e provare a descrivere alcuni snodi che considero essenziali per la comprensione del personaggio e del suo messaggio.

La storia è una grande maestra di complessità, dipende dalle domande che le si pongono, e le domande sono sempre nuove per rispondere a quanto chiede l’uomo di oggi. Pertanto, questo è un libro che – più che risposte – può aiutare a porsi qualche interrogativo. 

Nella sua impresa “temeraria” – come ha ammesso nella presentazione a Trento - si è trovato di fronte ad un panorama “sterminato” di fonti.  Quali ha preso maggiormente in considerazione e quali ha scartato?

Torniamo all’impostazione dell’opera e al metodo. La bibliografia disponibile dotata di un adeguato approccio storico-critico descrive con sufficiente completezza il periodo che arriva verso metà degli anni ’60, l’epoca dell’approvazione definitiva degli statuti dei Focolari e del Vaticano II. Per i periodi successivi esistono studi settoriali – anche di notevole spessore – su tematiche specifiche, ma sufficienti a illuminare parzialmente la figura e l’opera di Chiara. Vi è poi il suo archivio personale e quello del movimento (di consistenza imponente e tra loro complementari), conservati a Rocca di Papa. E poi fonti audiovisive, giornali e – soprattutto – molti testimoni. Nelle narrazioni come questa, l’unico metodo per assicurare una lettura non definitiva (nella narrazione storica non lo è mai!), ma veritiera, consiste nel valutare e confrontare la massima pluralità delle fonti, selezionando e isolando gli snodi considerati essenziali. 

Lei ha scritto che le intuizione della Lubich hanno anticipato e anche ispirato il Concilio Vaticano II. In che senso?

I due verbi - come mi è stato fatto notare – non sono sinonimi. L’approccio di Chiara e dei giovani laici attorno a lei si rifaceva all’esperienza fondante del cristianesimo costituita dal rapporto degli apostoli con Gesù, descritta dai Vangeli e spesso poco percepibile nella sua essenzialità e freschezza all’interno delle raffinate elaborazioni teologiche e canonistiche, frutto del cammino della Chiesa nella storia, del suo confronto con la civiltà e la cultura umana, e alla base della sua dimensione istituzionale e del suo governo. Esperienze che avvertivano i primi aliti del vento che di lì a pochi anni avrebbe spirato con forza nelle vele della barca di Pietro, che percepivano le esigenze di cambiamento necessarie nella Chiesa. Questo mentre si stavano elaborando gli spunti e le riflessioni teologiche necessarie per orientare le riforme che avrebbero trovato espressione compiuta nell’assise conciliare, e che intuivano quanto le nuove forme di spiritualità originate da intuizioni ed esperienze carismatiche avrebbero modificato profondamente il sentire religioso e il rapporto di moltitudini di persone con l’assoluto.  

Dal punto di vista teologico, quale ritiene il contributo più “profetico” di Chiara Lubich?

La “spiritualità dell'unità” che verrà definita da quell’episodio segnerà l’anima e la vita di Chiara, e si rivelerà il principio vitale alla base di ogni sua intuizione e realizzazione, capace di trasformare la vita di persone di ogni età, etnia, cultura e credo. Una spiritualità, profondamente ancorata alla relazione agapica che sussiste tra le persone della Trinità, che si rivelerà in profonda sintonia con lo spirito del Concilio e con la spiritualità di comunione che si svilupperà nella Chiesa alle soglie del terzo millennio. Dopo secoli di sottili riflessioni teologiche e di ermeneutiche astratte, Chiara sembra dare un valore “empirico” alla Trinità. Affermando che siamo fatti per la relazione e per l’incontro, che Dio – Padre, Figlio e Spirito – creandoci a propria immagine, ha impresso in noi questo desiderio di comunione, e che noi abbiamo bisogno di questa relazione d’amore per diventare persone nuove, parte dell’umanità.  

Quali aspetti dell’identità trentina emergono con maggior evidenza nella personalità di Chiara Lubich?

Sono sempre molto scettico circa l’esistenza di un’”identità trentina” … e la vicenda di Chiara – cittadina del mondo - mi sembra emblematica in proposito.E’ nata in quel Trentino da sempre terra di frontiera; da Trento, città che era stata periferia dell’Impero austro-ungarico e, al momento della sua nascita, da poco diventata periferia del Regno d’Italia, dopo la grande guerra. Una terra dove, dalla fine dell’Ottocento, il cattolicesimo sociale aveva riscattato dalla povertà intere generazioni, educato al senso della laicità e del bene comune, formato una classe dirigente che aveva espresso uno statista come Alcide De Gasperi. Il padre Luigi era un tipografo di idee socialiste, amico di Battisti; la madre Luigia era donna di profonda fede cattolica; due sorelle minori – Liliana e Carla – e un fratello – Gino – che sarebbe stato comunista e partigiano, e poi giornalista. Un’infanzia serena ma segnata dalla povertà; un’educazione e una formazione, scolastica e dottrinale, tipica del tempo, all’istituto magistrale e nelle file dell’Azione cattolica e del Terz’Ordine francescano. Chiara dimostra una predisposizione alla vita spirituale e alla ricerca appassionata della verità, di Dio e dell’uomo. Intraprende la professione di maestra elementare. Il desiderio di continuare gli studi viene infranto dalle condizioni economiche della famiglia e dalla guerra. La sua ricerca verrà dedicata a Gesù – via, verità e vita – e alla sua sequela.

Fra quanti hanno già letto il libro, quale commento ha trovato finora più interessante e stimolante?

Restando nella dimensione locale (ma non è detto che la prospettiva possa essere molto più larga), il suggerimento dato venerdì scorso a Palazzo Geremia da Franco De Battaglia alla Chiesa tridentina: che ogni paese – ora che stanno venendo meno ormai tutte le figure di riferimento istituzionali, e la pastorale territoriale ha un continuo bisogno di essere ripensata e riformata – abbia un focolare. 

Quella sera si è notata anche la sua insistenza sulla “novità” dell’esperienza di Chiara…

Penso ai contesti storici ed ecclesiali nei quali maturarono le intuizioni e la spiritualità di Chiara Lubich e la proposta di fede e di vita dei Focolari, basata su alcuni elementi cardine, molto distanti da alcuni fondamenti dell’ecclesiologia del tempo, e da alcuni principi pedagogici e formativi del laicato considerati pressoché universali. Una proposta basata sulla “lettera” del Vangelo – in particolare l’ultima preghiera di Gesù “perché tutti siano una sola cosa …” –  perché puntava a una netta riduzione all’essenziale del messaggio e del vissuto cristiano. Una lettura del Vangelo sine glossa, quando gli itinerari formativi e l’impostazione pedagogica dell’Azione Cattolica, si basavano sul sola glossa: con un contatto con le Scritture molto prudente e sempre “mediato” (almeno dalla presenza e dall’interpretazione di un sacerdote) e con riferimenti costanti ai dieci comandamenti (con particolare attenzione al VI e al IX …), al Catechismo di Pio X, alle costituzioni del Concilio tridentino. Altrettanto problematica (rispetto ai tempi e ai contesti) appariva la visione della Chiesa che emergeva in filigrana dalla spiritualità dei Focolari, intesa come comunione prima che come gerarchia (pur nel pieno rispetto di questa). In una simile temperie un carisma laicale originariamente femminile, che si staccasse dalla dimensione organizzativa “controllata” di AC e dei terz’ordini, che proponesse una concezione del laicato attiva e propositiva, non limitata alla subordinazione e all’esecuzione delle indicazioni della gerarchia, che prevedesse la messa in comune dei beni, seguendo il modello francescano e l'indicazione evangelica “date e più vi sarà dato” … in più di un ambiente poteva suscitare delle preoccupazioni e dei dubia. Spazi e carisma che proponevano un’autonomia di intervento del laicato nella partecipazione alla costruzione della città dell’uomo, così come – negli anni e nei decenni seguenti – si sarebbero aperti alle nuove frontiere dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, intesi come ricerca dell’ “idem sentire” con i fratelli separati e con l’altro nella fede, nella consapevolezza che – anche se il punto di incontro sarà escatologico – nessuno si può esimere dalla necessità della costruzione pratica delle relazioni fraterne.